FRANCIACORTA GREEN VEGAN: vino esclusivo o percorso enologico sostenibile?
Riflessioni a ruota libera di Mario Falcetti
Un vino, una etichetta, un concetto rivoluzionario, almeno nell’ambito dell’offerta enologica attuale. La reazione, superficiale, a questo innovativo Franciacorta, il primo e per ora unico nel suo genere, oscilla tra due atteggiamenti opposti che tendono a classificarlo “di moda” oppure “estremista”. In realtà, le motivazioni che stanno alla radice di Green Vegan sono più profonde, articolate e complesse di quanto possa apparire a prima vista.
Ma prima di entrare nel merito della filosofia enologica e più in generale di vita, che sottendono questo vino vorrei sviscerare alcune considerazioni sul concetto, ormai diffuso e riconosciuto, di Vegan. Un cenno a ricordare la nascita, in Inghilterra nel 1944, della Vegan Society ad opera di Donald Watson in dissenso con la Vegetarian (da vegetus che in latino significa “sano”, “vigoroso”) Society. Già nella contrazione, da VEGetariAN a VEGAN, nel neologismo che ha dato il nome a questo movimento si può cogliere la restrizione del regime vegano rispetto quello vegetariano.
Molteplici sono le valenze insite in questo concetto; da quelle (1) ETICHE, volte al rispetto assoluto del regno animale a quelle (2) ECOLOGICHE, per il minore impatto esercitato dalle coltivazioni vegetali destinate all’alimentazione umana rispetto all’allevamento del bestiame, con innegabili ricadute di ordine (3) ECONOMICO per i minori costi generati, (4) SALUTISTICHE, per i benefici che vanno oltre la banale idea di dieta, e quelli di carattere (5) SOCIALE includendo tutti i fattori elencati.
Indipendentemente dall’osservanza stretta delle regole, è innegabile che molti aspetti rivestano un valore assoluto. Imprescindibile. Non mi compete, ne’ vorrei in questa sede ribadire concetti e informazioni reperibili nella letteratura specifica, ma ci sono un paio di aspetti che, per formazione ed esperienza personale, mi permetto di analizzare.
Essendo cresciuto con l’insegnamento di mio nonno, che mi ha trasmesso il rispetto per l’ambiente nelle colture e nell’uso dei prodotti impiegati che si coniugava istintivamente con il rispetto per gli animali e per l’uomo, ho travasato questo sguardo anche nelle scelte fondamentali di vita. In primis quella universitaria, dove approdato alla facoltà di agraria, scartai tutte le materie attinenti alla zootecnia per dedicarmi senza indugi all’arboricoltura e in particolare alla viticoltura. In questo ambito mi ha catturato e incuriosito lo studio della botanica, capace di apparentare tra loro – grazie ai termini in latino – le diverse specie vegetali, conoscere le esigenze di ambiente e di coltivazione nonché le principali caratteristiche alimentari di quelle commestibili.
La valenza ecologica
Da agronomo poi, la mia riflessione non ha potuto non considerare l’impatto determinato dalle coltivazioni in particolare di quelle destinate all’alimentazione animale. La riflessione scaturisce dal basso rendimento (efficienza) del sistema di trasformazione che richiede un apporto notevole di acqua. Il WWF stima, infatti, che circa il 70% dell’acqua dolce consumata al mondo sia utilizzata per produrre foraggi e comunque per sostenere i cicli di produzione di carne. Più in dettaglio la produzione di un kg di cereali da foraggio richiede in media 1.000 litri di acqua e servono 15 kg di foraggio per ottenere 1kg di carne; quindi per produrre 1kg di bistecca occorrono circa 15.000 litri di acqua (1x1000x15). Che la produzione di carne sia poco efficiente lo attesta che solo l’11% del mangime somministrato ad una vacca serva a produrre carne mentre il resto per far vivere l’animale e che si ottengono 50 kg di proteine animali da 800 di origine vegetale (tasso di conversione pari al 6%!). Ma quello dell’acqua e del basso rendimento di trasformazione non sono le uniche fonti di impatto, si pensi, infatti, ai prodotti chimici utilizzati per la coltivazione, allo smaltimento delle deiezioni animali e degli scarti di macellazione, al disboscamento imposto dall’ottenimento di nuovi pascoli e terreni agrari con conseguenze sulla desertificazione e l’effetto serra.
A proposito di effetto serra, illuminante appare lo studio condotto dall’Istituto tedesco per la Ricerca Economica Ecologica (IOW – Institut für őkologischeWirtschaftsforschung) ripresa e pubblicata da Foodwatch (Klimaretter bio? 25 agosto 2008). Obiettivo dello studio era evidenziare l’impatto ambientale (emissioni di gas serra) imputabile all’agricoltura e all’allevamento. Analogamente ad altri studi effettuati in diversi paesi, si è tradotto l’apporto di elementi e fattori tra loro non direttamente comparabili in un indice “assoluto” espresso in kilometri equivalenti, percorso da un medesimo automezzo di categoria media (BMW 118d). L’idea di tradurre la quantità di CO2 emessa (119 g per km) in km rende immediatamente comprensibile a chiunque la dimensione e la portata del fenomeno misurato, rispetto a riferirsi in kg o tonnellate di anidride carbonica prodotta, dati di per sé intangibili ai più.
Lo studio ha perciò valutato l’impatto determinato dalla produzione dei principali alimenti, considerando i fabbisogni per la coltivazione di ingredienti destinati alla produzione di mangime, i trasporti delle materie prime e degli animali, la gestione degli allevamenti e dei macelli, ecc… Alcuni dati di riferimento sono riportati nella tabella seguente.
In una fase successiva, a partire da questa base-dati, si è ipotizzato un anno di alimentazione di una persona adottando 3 modelli alimentari: onnivoro, vegetariano e vegan. Per ciascuno di questi modelli ci si è riferiti a 2 tipologie di produzione: da agricoltura/allevamento convenzionale e bio.
Nella tabella i risultati.
unità di misura = km equivalenti | da agricoltura | Indice | ||
bio | convenzionale | vegan/bio =100 | ||
alimentazione vegan | 281 | 100 | ||
alimentazione vegan | 629 | 224 | 2 x | |
alimentazione vegetariana | 1978 | 704 | 7 x | |
alimentazione vegetariana | 2427 | 864 | 8 x | |
alimentazione onnivora | 4377 | 1558 | 15 x | |
alimentazione onnivora | 4758 | 1693 | 17 x |
In sintesi, confrontando i 2 modelli alimentari “estremi” risulterebbe che una alimentazione onnivora da agricoltura convenzionale produca emissioni pari a 17 volte quella vegan da agricoltura bio.
Uno studio analogo, cui Quadra non poteva non aderire, è stato effettuato recentemente in Franciacorta. Il lavoro ha valutato l’impronta carbonica (Carbon Footprint) con l’intento, intervenendo opportunamente nelle diverse fasi del ciclo produttivo e commerciale, di ridurre i gas serra. Obiettivo complessivo del “sistema Franciacorta” di breve periodo (5 anni) è la riduzione di 1200 tonnellate di CO2 emessa corrispondenti, in termini di abbattimento, alla superficie di un bosco di 100 ettari gestito allo scopo.
La valenza salutistica
Ma se l’attenzione all’impatto ambientale e l’insito rispetto che ho per la vite, il terreno e l’aria che la circondano, mi hanno portato a concepire la viticoltura secondo un approccio olistico, ancorandola al terroir di appartenenza sin da quando l’attenzione era posta su altri fattori predominati, la mia curiosità per il mondo vegan è forse più ancora il frutto, più recente, di un percorso personale di ricerca in ambito salutistico.
Ricerca che, trasformatomi da semplice runner in maratoneta prima e ultramaratoneta poi mi ha reso più attento e consapevole sul piano alimentare. Scoprire che ci sono ultramaratoneti e atleti di endurance vegani di notevole calibro, mi ha spinto ad approfondire l’argomento e a sperimentare una personale teoria: un auspicabile graduale passaggio da una alimentazione onnivora ad una vegana, con la possibilità comunque, sempre vantaggiosa sotto ogni profilo, di trovare la propria misura anche in una posizione intermedia qual’è quella latto-ovo-vegetariana. Da un punto di vista ambientale, per esempio, è dimostrato essere più vantaggiosa la riduzione del consumo di carne e derivati animali di 10 persone che la scelta vegana di 1 sola. Va da sé, che per come vengono gestiti gli allevamenti intensivi e per l’elevato impiego di farmaci, la riduzione del consumo di carne non possa che produrre un beneficio immediato e a lungo termine per la salute. La variabilità di frutta, verdura, legumi e semi, la loro stagionalità e versatilità forniscono un’ampia possibilità di alimentarsi correttamente e in maniera leggera, digeribile, sana. Gli studi in campo medico suffragano ampiamente questi benefici .
Sempre in ambito salutistico ho anche ripetutamente sperimentato e verificato quanto sia economicamente più vantaggioso (per il sistema medico-farmaceutico) avere gente malata piuttosto che fare prevenzione per salvaguardare un ottimale stato di salute. Nella mia esperienza sportiva e nell’ottica di controllare il mio stato di salute, da tempo sto testando su me stesso il nuovo orientamento alimentare con notevoli risultati tangibili: da una più rapida e facile digestione, a una diversa qualità del sonno e della veglia, alla riduzione del tenore di glicemia (dovuta alla sostituzione della farina di grano con quella di altri cereali e pseudocereali), e di colesterolo, ad un miglioramento nelle prestazioni di resistenza fisica e mentale.
Le dimensioni del “MOVIMENTO”
Si stima che attualmente i Vegetariani nel mondo 350.000.000 persone. In India lo è il 30% della popolazione.
In Germania, il paese più “verde” d’Europa adottano questa filosofia 7 milioni di persone.
In Italia [fonte Eurispes, 2014] il 7,1% della popolazione, di cui 6,5% vegetariani e 0,6% vegani, corrispondenti a 4,3 milioni (3,7 milioni nel 2013, proiezione al’8% nel 2015) adotta criteri alimentari a ridotto o nullo apporto di derivati animali. Il 31% vi ha optato per rispetto degli animali e il 24% perché “fa bene”, è più salutare.
La tendenza è ad un incremento costante, infatti, Eurispes stima che nel 2050 circa 30.000.000 persone avranno cambiato drasticamente regime alimentare.
Ma la scoperta più sorprendente è stata la sovrapponibilità del regime alimentare vegano alla dieta mediterranea, come vi mostrerò con la piramide illustrata in seguito.
LINEE DI CONVERGENZA TRA MODELLI E STILI (APPARENTEMENTE) IN CONTRASTO
Benché ad un primo approccio il modello alimentare vegano possa apparire quanto di più distante dalla nostra tradizione e cultura esso presenta in realtà un elevato livello di sovrapponibilità con la, più classica ed enfatizzata, dieta mediterranea.
Infatti, quando, alla metà del secolo scorso, il prof. Keys, su incarico del governo americano, attuò lo studio epidemiologico divenuto famoso come Seven Countries Study, la definizione di Dieta Mediterranea, era quanto di più prossimo allo stile vegan si possa immaginare. I punti “forti” erano cereali, frutta e verdura, mentre il consumo di carne era occasionale e i latticini non avevano certo la rilevanza attuale. I tratti salienti del lavoro di Keys sono riassumibili nella piramide alimentare e
nell’Indice di Adeguatezza Mediterraneo (IAM). In merito a quest’ultimo, già nel corso del Seven Countries Study, era nata la necessità di confrontare le diverse diete rilevate e la loro aderenza a quelle di riferimento. Proprio per questo motivo venne elaborato l’Indice di Adeguatezza Mediterraneo (IAM) o Mediterranean Adequacy Index (MAI). Questo indice, abbastanza semplice da calcolare, permette di capire quanto le nostre abitudini alimentari si avvicinano a quelle della Dieta Mediterranea di Riferimento [la dieta rilevata a Nicotera , Calabria, nel 1960 ha uno IAM compreso fra 5,4 e 10,8 con un valore mediano di 7,5]. Lo IAM si calcola dividendo il percento dell’energia fornita dagli alimenti che caratterizzano una dieta mediterranea salutare (cereali, legumi, vegetali, patate, frutta, pescato, olio extravergine di oliva e vino) per il percento di energia fornito dagli alimenti che pur essendo mediterranei non devono prevalere in questo tipo di dieta (carne, latte, formaggi, uova, grassi di origine animale, margarine e grassi idrogenati, dolciumi, bevande edulcorate e zucchero). Se ci facciamo caso gli elementi a numeratore del rapporto, con l’eccezione del pesce, sono l’essenza dello stile vegan, mentre per quanto riguarda quelli posti a denominatore, premesso che contribuiscono ad abbassare il valore indice e di conseguenza la “bonta” del regime adottato, è bene che vengano consumati saltuariamente e con moderazione. La tendenza in atto negli ultimi decenni ha visto la dieta mediterranea trasformarsi progressivamente in dieta occidentale a causa dell’inserimento, sempre più massiccio, di carne, latticini, dolci e bevande di sintesi, determinando una popolazione sempre più obesa, già a partire dall’infanzia. Questa involuzione altri non è che la risultante di un percorso contro natura intrapreso dal genere umano e particolarmente accelerato negli ultimi decenni. Infatti, illuminante a questo proposito, pur nella sintesi divulgativa, quanto afferma Tozzi nel paragrafo “vegetariani vs carnivori” (Tecnobarocco, Einaudi, 2015) analizzando alcuni tratti somatici dell’Homo (sapiens). La dentatura, dove l’abbondanza di molari, trituratori di vegetali, a fronte di canini di modeste dimensioni e l’intestino assai lungo, mentre i carnivori lo hanno corto, sono elementi che, da soli, potrebbero spiegare l’orientamento alimentare originario della nostra specie. La stessa conformazione fisica attesta che fossimo più adatti a fuggire, quale preda succulenta, che a cacciare e saremmo diventati – sempre secondo Tozzi – carnivori-onnivori per cultura più che per evoluzione biologica.
LE RAGIONI DI UN VINO
Coerentemente con il percorso di evoluzione alimentare e di consapevolezza ecologica illustrati in precedenza, nasce in Quadra, il primo Franciacorta, e più in generale il primo metodo classico italiano, certificato secondo la filosofia e i criteri della qualità Vegana.
Infatti, la materia prima, l’uva è sempre stato il fulcro della mia visione e interpretazione della filiera viticolo enologica. Dalla valutazione tattile della materia prima all’adozione di un percorso enologico a basso impatto, ho sempre ritenuto superfluo tutto ciò che non fosse indispensabile riponendo nella variabile “tempo” un valore e una fiducia assoluti. E il tempo richiesto dalla fisica ha soppiantato l’invadenza della chimica prescindendo dall’impiego della maggior parte dei prodotti utilizzati per le normali chiarifiche dei mosti e dei vini. In particolare non concepisco l’uso di prodotti di derivazione animale quali albumina, gelatina, caseina, colla di pesce tant’è che questo modo di operare ha consentito di rendere i nostri Franciacorta immediati, di notevole piacevolezza ed eleganza ma soprattutto adatti ai palati più esigenti anche in termini di sensibilità e allergia a determinate famiglie di sostanze.
Lavorare secondo questi principi e raccontarlo, nella massima trasparenza, ai nostri clienti ci ha suggerito la possibilità, oltre che la necessità, di “dichiararlo certificandolo”.
A partire da questa constatazione abbiamo dedicato il 2015 alle diverse fasi di Audit volte ad appurare e a certificare il nostro processo e i prodotti che da esso derivano. Il progetto si è concretizzato nella messa a punto di un Franciacorta Brut, secondo i criteri della Qualità vegetariana – Vegan della quale abbiamo ottenuto l’utilizzo del marchio.
Tuttavia, la valenza del Franciacorta Green Vegan è plurima. Infatti, oltre a mantenere in tutto e per tutto lo stile Quadra, ci permette di avvicinare anche i consumatori più attenti e sensibili sul piano “etico” e “salutistico”. Ma soprattutto, una volta entrati in contatto con queste rinnovate istanze ci offre l’opportunità di argomentare la gamma di Quadra nel suo complesso che, pur non essendo esplicitamente certificata, mantiene intatti gli stessi principi filosofici e produttivi.
UN VINO PONTE
Per queste ragioni Green Vegan rappresenta un vino-ponte, un trait-d’union tra filosofie e modelli eno-gastronomici differenti. Infatti, per come è pensato e creato, soddisfa a pieno i desiderata dei vegani più rigorosi senza nulla togliere, anzi, agli amanti del buon vino. Un vino inclusivo in un mondo dove la tendenza è essere o apparire esclusivi.